ESSERE POETI (SEMPRE MEGLIO CHE LAVORARE)
Il Giaciglio Pensante
Di: Nicola Foti
In realtà, questo titolo si rifà ad un aforisma, riferito alla professione giornalistica «Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare»).
Lo coniò Luigi Barzini Jr., milanese di nascita, giornalista, figlio «d’arte» di quel Luigi Barzini, nato ad Orvieto, non distante da Roma, antichissima città etrusca posta in Umbria ai confini col Lazio e la Toscana, poi città romana, che ebbe il suo massimo sviluppo nel Medioevo, quando potenti famiglie nobiliari (Monaldeschi e Filippeschi in particolare, in perenne lotta tra di loro, citate anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia) ne resero le sorti.
Luigi Barzini Sr. è stato il primo giornalista italiano «d’azione», impegnato sui vari fronti dove i fatti accadevano realmente; inviò i suoi reportages, all’ inizio del Novecento, dai teatri di guerra russi, cinesi, giapponesi, da San Francisco per il disastroso terremoto, e così via. Fu anche inviato speciale al famoso raid automobilistico Parigi-Pechino del 1907…
Ad Orvieto, per inciso, io, romano per nascita e per formazione, ci lavoro, come medico radiologo ospedaliero, da oltre un quarto di secolo…
Dopo questa (doverosa) digressione, voglio ritornare alla definizione di poeta «non lavorante»: ben pochi poeti, nel corso dei secoli, hanno letteralmente potuto mangiare scrivendo poesie (il ben noto «carmina non dant panem» dell’antica Roma).
Questa antica affermazione è ancora più plausibile oggi, in cui il poeta sembra aver (volutamente?) smarrito il proprio ruolo nella società; poeti lo si è per caso, per talento o per pura passione, non già per calcolo o per professione. Mai come oggi i pur tanti poeti vivono appartati dal mondo produttivo, dalle luci della ribalta che (quasi) tutti fieramente disdegnano, da una realtà ridotta a consumo della merce, a produttività industriale, fatturato, prodotto interno lordo, guadagno.
Eppure i poeti (senza distinzione di genere) hanno, in alcuni periodi storici, anche recenti, illuminato il mondo con le loro opere, spesso militanti, condizionando, ispirando scelte sociali, politiche, ponendo le basi culturali di un Paese, di cui spesso è rimasta imperitura memoria.
Oggi, in un’epoca dove prevale il business, dove la politica è spesso rozzo, inquietante protagonismo demagogico, dove solo l’economia tira le fila del globo intero, dove i media spesso rèlegano la cultura ad un ruolo minimale, o comunque subalterno, il poeta è più che mai inattuale, legato più al sogno che all’azione, fuori dalle logiche del tempo e dello spazio, e perciò, essi stessi, «inutili».
Quei pochi poeti che varcano la soglia della popolarità, rischiano di diventare una «moda», destinati ad essere sostituiti non appena i tempi (ed i gusti) cambieranno.
Ciononostante, «questo insondabile bisogno di scrivere» (titolo, tra l’altro, di una mia poesia), tra sogno e realtà, tra sottili malinconie e nostalgici ricordi, tra tenui speranze e timidi sorrisi, tra l’osservazione della natura, fino a penetrare l’essenza stessa di essa, e tanto altro ancora, tutto questo è poesia, quel «puro distillato dell’anima» (altra mia definizione), che, a un momento, vuole uscire allo scoperto, vuole «sporcare» il foglio intonso, riempire gli spazi disponibili, farsi eterna, aspaziale, atemporale.
La poesia.
Mi sento profondamente legato alla realtà di Roma, la mia città, dove le pietre antiche narrano, cantano, talvolta imprecano, bestemmiano, si macchiano, rifulgono. La Roma degli antichi monumenti, delle statue e delle opere figurative sublimi; la Roma degli edifici classici, barocchi, eclettici; delle periferie anonime, sordide, vandalizzate; la Roma dei quartieri borghesi, popolari, moderni ma non troppo; la Roma spirituale e pagana, la Roma metropolitana ed agreste, godereccia e mistica, la Roma di ieri, di oggi di domani.
La Roma eterna.
Non so, non mi sono mai chiesto se esista veramente una scuola poetica romana in senso stretto, che si contrapponga in maniera netta alla poetica milanese, napoletana o siciliana, o di tante altre città, regioni, borghi italiani…
La operosa, feconda provincia, spesso poco conosciuta, ma che ha prodotto – un esempio per tutti – il genio e l’opera immortale di Giacomo Leopardi…
Di sicuro, Roma è il palcoscenico ideale (come altri pochi luoghi al mondo) per contestualizzare opere letterarie, narrative o poetiche…
La Roma degli antichi poeti (Orazio, Catullo, Virgilio…)…
Più recentemente, di Pascarella, del Belli, di Trilussa, di Moravia, di Pasolini, di Flaiano, di Bellezza, ed altri…
E noi, suoi figli inquieti e girovaghi, la amiamo, ed anche nelle nostre poesie le dedichiamo tutte le nostre pagine…
Di rabbia.
D’amore.