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A SCRIVERE (SERIAMENTE) S᾿IMPARA CON IL TEMPO

A cura di Marina Atzori


Si può imparare a scrivere bene (seriamente)? Certo che si può! Bisogna solo stare attenti a non incappare in alcuni degli errori più comuni.

Oggi vi racconto quello che ho imparato in questi anni di salite e discese (più discese che salite), ma questo non ditelo a nessuno. A un certo punto della mia “vita da scrittrice” ho tirato la famosa linea e mi sono detta:

“Ho sbagliato tutto, ma chi me l᾿ha fatto fare!”

A questo proposito voglio dirvi una cosa molto importante a cui ho pensato dopo un po’ di tempo e che probabilmente saprete già: sbagliare non è la fine del mondo. Sì, perché la cosa bella della scrittura è che da un foglio bianco si può (quasi) sempre ricominciare.

Quindi non mollate, anche se scrivere per pubblicare un libro non è una passeggiata di salute. Anzi.

Vi dico perché:

  • Bisogna armarsi di santa pazienza e rimanere sulle spine per parecchi mesi prima di ottenere una risposta da un editore.

  • Il libro deve (dovrebbe) essere sottoposto a un numero periodico misto di revisioni prima di vedere la Luce. In certi casi, dopo due o tre letture sommarie, l’autore getta la spugna e pubblica il romanzo così com᾿è, senza pensare a quello che potrebbe avvenire subito dopo. Le critiche spietate sono lì, dietro il primo angolo ad aspettarlo e dargli un sacco di mazzate sui denti che se le ricorda!

  • Il selfpublishing è una strada rischiosa, perché spesso, per motivi economici o per scelta, l᾿autore non si affida a professionisti (editor, grafici, impaginatori).

  • Non pubblicare, dopo aver ricevuto un rifiuto da più editori, a volte, può rivelarsi – non dico la scelta migliore –, ma la più sensata. Evidentemente, qualcosa non andava nel vostro libro. Vi toccherà prenderne atto e rivedere un po’ di cose.

Potrei andare avanti all’infinito con l’elenco degli ostacoli cui uno scrittore deve far fronte prima di ottenere riscontri positivi, ma è meglio che mi fermi qui.

Paura eh?! Lo so, vi sto terrorizzando.

Tranquilli, è solo l’inizio.

 

 

 

 

 

 

C’è poco da fare, gira che ti rigira ha ragione Snoopy: scrivere è un lavoro duro, durissimo (aggiungo io). Altroché “Notti buie e tempestose”! Scrivere (seriamente) è una bella gatta da pelare!

Per prima cosa una storia deve maturare, emozionare, brillare e convincere, però… quanta fatica mettere un punto e riconoscere i propri limiti!

A proposito di punti…

Ogni scrittore vorrebbe arrivare a metterne più di uno (di punto) fermo sul proprio curriculum letterario, ma non sempre è possibile.

…e di limiti

L’aspetto bizzarro è che, mentre nella vita spesso si è costretti ad arrendersi di fronte all᾿evidenza o a rassegnarsi, nella scrittura questo succede raramente. Non si capisce come mai, lo scrittore emergente faccia una gran fatica ad ammettere i propri limiti o a incassare le critiche costruttive. I no non piacciono e nonostante siano motivati, l᾿autore persevera diabolicamente senza cambiare una virgola del testo.

Risultato? Chi è portato a crederci troppo, nonostante i “lascia perdere, scrivere (seriamente) non fa per te”, molte volte finisce per pubblicare lo stesso pur di vedere il proprio nome su una copertina. Per fortuna non è sempre così!

A scrivere s᾿impara con il tempo e con l’allenamento

Consiglio: fate indigestione di grammatica. Qualunque dubbio vi venga in mente, andate a controllare, studiate le regole. Non fermatevi al vostro (presunto sommo) sapere che, con tutto il rispetto (nessuno si offenda), non sarà mai attendibile come lo è quello di un docente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La scrittura è insidiosa, va oltre il concetto di creatività; non è l’espressione di un desiderio, di un sogno da realizzare a ogni costo. La scrittura è una continua caccia al tesoro, un continuo studio delle regole grammaticali e delle espressioni linguistiche. Solo con il tempo e l᾿allenamento s’impara a capire ciò che non serve e ciò che serve.

Scrivere è riuscire a trovare un equilibrio tra voi e una sega circolare. Via i rami secchi! Tagliate, riscrivete, spostate, rileggete.

Il superfluo va tolto per ottenere il buono di un testo. Più diventerete essenziali, più avrete buone possibilità di imparare a scrivere (seriamente) e pubblicare. Leggete di tutto. La lettura vi aiuterà tantissimo ad ampliare la proprietà di linguaggio e la capacità espressiva.

Consiglio: provate ad aprire un blog. Scrivere articoli è un buon modo per tenersi in allenamento.

Raccontare è emozionare, scoprire, frugare addosso alle persone, scavare nelle cose vecchie e nuove che vedete e sentite, senza aver paura di svuotarle, di svelarne segreti, abitudini, paranoie, sfumature, difetti. Scrivere corrisponde a tutto questo, ma soprattutto all’esigenza che vi ha spinto a farlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una storia deve maturare

Eccoci a un altro punto dolente. Una storia pubblicata prematuramente può essere paragonata a un frutto caduto dall’albero troppo presto. Ogni storia ha una stagione, la Sua stagione, proprio come per i frutti. Avete presente no? Quante volte vi sarà capitato di mangiarne di acerbi e rimanere delusi dal gusto. Eppure, quando l’avete colto, il colore e la consistenza vi sembravano quelli giusti. Tuttavia, al primo morso vi accorgete che non era ancora il momento di assaggiarlo. Per i libri è lo stesso.

Consiglio: lasciate decantare il testo. Riprendetelo dopo un po’ di settimane, e se potete, anche qualche mese.

Una storia deve brillare 

Immaginatevi in un labirinto. La visibilità è poca, le siepi sono alte e fitte. Senza un buon senso dell’orientamento, con ogni probabilità, qualunque tentativo improvvisato di trovare una via d’uscita risulterebbe vano.

Consiglio:

non abbiate fretta! Valutate bene ambientazione e personaggi. Mettete giù un miniprogetto sui punti focali della storia. È facile perdersi, scrivendo a ruota libera.

Eccoci alla domanda fatidica: scrivere o non scrivere? Bella domanda. Per rispondere bisogna aggiungere l’avverbio del titolo (seriamente). Seriamente vuol dire che vorreste che gli altri vi leggessero. Altrimenti, nessuno può impedirvi di scrivere. Tra scrivere seriamente e farlo per hobby corre una bella differenza. Un romanzo può considerarsi riuscito, quando le intenzioni dello scrittore riescono a emozionare il lettore e il testo è corretto dal punto di vista sintattico.

Questo per dirvi che nella scrittura non ci si improvvisa. È il modo in cui vi approcciate a raccontare a fare la differenza. È lo stile, la cosiddetta “voce dell’autore” a rendere una storia allettante, prima per un editore e poi per il potenziale lettore. A questo punto vi invito a riflettere su un concetto fondamentale: l’obiettività. Per quanto la vostra storia possa apparire unica e perfetta ai vostri occhi non lo sarà, al 99,9%, agli occhi degli altri. Sapete perché? A decidere non sono quasi mai i vostri occhi (tranne in rarissimi casi).

Consiglio: fate tesoro dei pareri esterni alle vostre cerchie e soprattutto delle opinioni degli addetti ai lavori.

Una storia deve convincere e riflettere (come uno specchio) le vostre intenzioni. Raccontare è: Come, dove, quando e perché.

Il lettore ‘sentirà’, percepirà i motivi e si immedesimerà nelle sensazioni che gli vorrete comunicare, se sarete bravi a metterli in risalto. Solo se sarete in grado di raccontare e cucire addosso ai protagonisti le intenzioni che vi hanno portato a scrivere la storia potrete pensare di convincerlo fino in fondo. Scrivere non è, come molti credono, la pretesa di dire qualcosa a tutti i costi. Chi pretende di scrivere senza “un perché importante” finisce per mettere insieme pensieri confusi e per far mancare di magia la sua storia.

 

I significati delle parole che tutti conoscono sono risorse preziose

 

Case, voci, lune, baci, specchi, volti, sentimenti, etc.. Provate a coglierne la semplicità e a raccontarla con leggerezza come si fa per un disegno. Con la punta di una matita abbozzate le prime linee. Infine, aggiungete spessore, colori, espressioni, luci e ombre. La vostra storia prenderà una forma. Se avrete talento, qualcuno vi noterà.

Osservare non è come guardare

Osservate di più il disordine sul balcone del vicino di casa, i bambini silenziosi cui non piacciono le macchinine, le città di notte. Soffermatevi di più sui dettagli e su ciò che vi circonda. Immergetevi nei caratteri dei personaggi, nei rumori e nei profumi dei luoghi. Così, potrete arrivare a essere credibili, senza aggiunte inutili. Le parole saranno le vostre migliori alleate in questo. Se imparerete a scegliere quelle giuste, scrivere (seriamente) sarà un po’ meno complicato.

Provate a non sentirvi mai arrivati. Provate ad ascoltare di più quello che succede nella quotidianità: i dialoghi sui treni, le discussioni al supermercato, la competizione tra i colleghi in un ambiente di lavoro

Ricordate: un libro pensato è un libro curato sotto i punti di vista più importanti: tecnico, emotivo ed espressivo. Con questi tre presupposti potrebbe nascere una buona storia.

Spero di avervi dato qualche consiglio utile. Non mi resta che augurarvi una buonissima scrittura, cari aspiranti autori!

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QUANTO È IMPORTANTE LA SCELTA DELLE PAROLE NELLA POESIA?

A cura di Marina Atzori


La scelta delle parole nella Poesia non è mai casuale. Si tratta di un processo di trasformazione, di composizione e di derivazione, di unʼespressione artistica traducibile in un mio personale assioma; vale a dire: “La parola è compagna fedele e infedele del poeta, poiché essa ha il compito di rivelare emozioni e intenzioni che altrimenti rimarrebbero nascoste in un angolo remoto dellʼanima”. La Poesia è anima che scrive, per lʼappunto, è la cura che allevia lʼeterno soffrire. La Poesia possiede suoni, colori e complessità emozionali incalcolabili, ma non per questo deve essere considerata una forma di scrittura lontana o unʼinfinitesima parte di storia che appartiene a qualcun altro. La Poesia lambisce il poeta durante momenti dʼispirazione a volte soavi e delicati, altre volte più riflessivi e spinosi. Esiste una “voce” tesa a comunicare una tonalità e unʼarmonia, come per la musica, che rende un poeta unico, diverso da un altro, perfettamente riconoscibile. Il lettore, sottraendosi al ruolo di semplice ascoltatore, può ritrovarsi nelle parole del poeta. Qualche giorno fa, rileggendo un vecchio testo scolastico di lingua italiana, sono rimasta colpita da unʼanalisi di pensiero sulla Poesia, che ho deciso di condividere con voi: «Tutte le parole di una lingua possono entrare nelle poesie; non esistono “parole poetiche” per la loro particolare natura». Entriamo nel cuore dell’argomento. Parole e Poesia vanno di pari passo. Sono entrambe legate da fattori concettuali, orientati da diversi aspetti sintattici (frasi brevi o lunghe, aggettivi, verbi, etc.) e dalla formulazione di proposizioni “che suonino e si leggano bene”. La Poesia è qualcosa di più intrinseco, è forma e sostanza messe insieme. Per arrivare al punto, occorre porsi una domanda: chi è il Poeta? Soffermiamoci sulla traduzione estensiva della parola “poeta”: Chi possiede particolari doti di gusto e sensibilità; chi tende a perseguire l’ideale: avere un animo, un cuore da poeta.

Il poeta compie una scelta stilistica e di vita, se si volesse andare oltre la nozione letteraria di poesia. Il poeta legge dentro la semplicità e la complessità della parola “derivata”, “alterata”, “composta”, esaltandone il nettare dei significati, le sfumature, le etimologie e approfondendone il sublime e la veste, tramutandola in poetica. Proviamo a pensare a quante poesie del passato e del presente siano state scritte per dare modo ai lettori di addentrarsi, attraverso le parafrasi, in un ordine di pensiero molte volte lontano anni luce dal loro. Quello del poeta è un mondo di substrati, di immagini, di allegorie, perciò la parola determina una scelta stilistica. È come se il poeta decentrasse l’universalità del linguaggio e la arricchisse di un valore aggiunto simbolico. Ciò accade quando nella poesia “entrano in scena” personalità e vissuto del singolo scrittore. Un esempio è “La capra” del poeta triestino Umberto Saba. Il testo di questa poesia rappresenta e permette, in parte, di arrivare al nocciolo della questione “sensibilità introspettiva”. Il titolo, sulle prime, potrebbe confondere. Invece, dopo unʼattenta lettura, ci si avvicina lentamente fino ad abbracciarne il senso. Nellʼanimale (la capra) è insita una sofferenza paragonabile a quella dellʼessere umano. Quell’uguale belato era fraterno / al mio dolore. In questo caso, Saba, “lʼuomo poeta”, interviene, rispecchiandosi, instaurando un dialogo, un rapporto simbiotico con lʼessere vivente e con se stesso. Gli aggettivi che si riferiscono alla capra (sola, legata, bagnata) designano e riconducono al concetto inequivocabile dellʼeternità di cui è pervaso il dolore.

La capra

Ho parlato a una capra
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
alla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

Da U. Saba, Il canzoniere, Einaudi, Torino

poeta controcorrente (così era definito Umberto Saba) estraeva l’essenza cercata e ricercata della parola, e le sue scelte linguistiche ricadevano nella semplicità espressiva. Altri poeti invece utilizzano figure retoriche (contribuiscono ad ampliare,a impreziosire la realtà descritta), ritmo (accenti, pause, ripetizioni), metrica, e contesti multi prospettici (empirici e culturali) del periodo in cui vivono o sono vissuti, per dare profondità ai propri componimenti poetici. La Poesia è frutto sì di una selezione del linguaggio, ma anche e soprattutto di una personale visione del mondo e della vita che prende forma grazie alla parola e al contrasto dei sentimenti del poeta.